Con la proiezione del film Le proprietà dei metalli all’interno della selezione per il Concorso Fuori dal Giro 2023, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il regista Antonio Bigini.
Come sei entrato in contatto con la storia dei minigeller* a cui il film è ispirato, vicenda che per anagrafica non appartiene al tuo vissuto? (*= bambini che dopo aver visto una esibizione dell’illusionista Uri Geller, hanno manifestato fenomeni simili riuscendo apparentemente a piegare i metalli)
E’ una storia che di fatto non conosce praticamente nessuno, ci sono arrivato molto per caso perché a Bologna, la città in cui vivo, ormai quasi dieci anni fa, ho conosciuto un para-psicologo, una persona che negli anni 70 ha studiato vari fenomeni non comuni, o quantomeno apparentemente tali, tra cui questi bambini che sembravano in grado di fare cose “straordinarie” come piegare oggetti di metallo. Questa storia si radica in un periodo storico molto preciso, ovvero metà degli anni 70, durante i quali in RAI ma anche in altre TV europee, passava un personaggio, un sedicente mago [l’illusionista Uri Geller] che in diretta televisiva piegava cucchiai, forchette, chiavi ed altri oggetti di metallo. C’è stata una specie di psicosi di massa per cui la gente a casa sperimentava queste abilità e cercava di replicare esperimenti del genere. La storia va contestualizzata in quel momento storico, appena usciti dal ’68, dove da un lato c’era attenzione molto forte al paranormale, a tutto ciò che sfugge alla ragione, all’irrazionale, a quello che non era legato al sapere ed alla scienza ufficiale e, dall’altro, era ancora molto vivo il mondo contadino con le sue tradizioni e le sue ingenuità. Ci si doveva ancora pienamente trasformare in quella che oggi è la civiltà dei consumi. In quella fase di transizione, permaneva ancora una certa ingenuità e faciloneria, in senso buono, una sorta di predisposizione a credere anche all’ imbonitore, soprattutto se veniva trasmesso in TV.
Trattandosi comunque di una storia per così dire “laterale” rispetto a quegli anni e, come detto, poco conosciuta, perché l’hai scelta come base per il tuo primo lungometraggio?
Non è mai una cosa molto razionale scegliere una storia. Da una parte c’è stata una fascinazione più che altro mentale per una vicenda che ha il sapore della fantascienza, dei film americani con cui sono cresciuto negli anni 80 e 90 che però allo stesso tempo è reale ed è avvenuta in un luogo non lontano da dove provengo io. Quindi la fascinazione è indirizzata a qualcosa di fantascientifico che però a suo modo è concreto essendo legato a luoghi ed ad un territorio a me familiari. Ma non è di questo di cui in realtà parla il film.
E’ un espediente narrativo per parlare di qualcosa d’altro.
Si, è uno spunto di partenza. Quello che mi toccava in tutta questa storia sono i bambini che erano diventati oggetto di attenzioni particolari, studiati come cavie e sui quali venivano proiettate attese molto forte da parte degli scienziati ma anche dai genitori. Mi interessava raccontare la sensibilità di questi bambini, che cosa avevano dentro. Uno in particolare mi ha colpito tra le storie che ho raccolto e che mi ha ispirato nello scrivere il personaggio di Pietro. Mi interessava raccontare dell’infanzia e del rapporto non facile con il mondo adulto.
La scelta del luogo del film è stata fatta per familiarità con esso o la vicenda si è svolta realmente in centro Italia?
I fenomeni studiati dal professore che ha condiviso con me gli studi ed i diari del tempo soprattutto si svolgevano nella zona della pianura padana che è un paesaggio che conosco vivendo a Bologna, verso il Po ed il ferrarese, zone pianeggianti piatte. Anche qui, non si sceglie davvero in modo razionale. Quando ho iniziato a lavorare al film mi è capitato di frequentare spesso i luoghi dove ho poi di fatto girato, per ragioni personali, per amici ed affetti, e trovandomi in loco mi sono reso conto che quel paesaggio era lo sfondo ideale per il mio film. In particolare, la Val Marecchia, ha una conformazione geologica unica, con forme di roccia che spuntano come torri in mezzo ad un paesaggio di colline, ha qualcosa di magico e fiabesco.
Anche il paesaggio, come tutto il film, è in bilico tra il concreto e l’irreale: da un lato una campagna rurale e quotidiana e dall’altro scorci che sembrano lunari. E così anche i personaggi adulti incarnano questo perfetto dualismo: il professore etereo e gentile, quasi alieno rispetto alla ruvida concretezza del padre.
Sottoscrivo quello che hai detto. Era proprio la mia intenzione fare percepire questo allo spettatore.
Complice anche l’accento straniero del professor Moretti, che lo rende ancora più alieno rispetto al contesto, anche la fisicità degli interpreti accentua la contrapposizione dei due personaggi. Avevi già il cast in mente?
Quando fai un film cerchi una faccia che corrisponda al tuo personaggio. Avevo già delineato dei caratteri molto chiari sia per il padre che per il professore, caratteri contrapposti tra loro: un padre burbero, molto duro da un lato, un professore protettivo e buono, dall’altro, quasi “non terreste” e più etereo. E’ stata una ricerca molto lunga trovare la “faccia giusta”, perché me è una questione di faccia ancora prima che di “nomi” di attori. E credo che gli interpreti scelti corrispondano al meglio a quello che avevo in mente. La faccia scavata di ……..è una faccia meravigliosa, oltre ad essere un attore straordinario. Il suo aspetto racconta molto del suo personaggio. Cosi come quello di David Pasquesi.
E come hai scelto l’interprete di Pietro?
Il film è stato girato nel 2021 ed i cast sono stati fatti ancora n periodo CIVID, quindi on line. All’appello, chiamata che avevo lanciato hanno risposto oltre 600 bambini. Già dopo la prima scrematura avevo notato qualcosa di molto interessante in Martino Zaccara, il bambino che interpreta Pietro. Poi ho convocato una trentina di questi bambini in presenza e scremato ulteriormente, ma devo dire che Martino è stato quasi sin da subito il “prescelto”. Manifestava un certo distacco, sembrava quasi non volesse essere scelto, ed il fatto che a lui apparentemente non interessasse fino in fondo, me lo rendeva ancora più interessante. Poi aveva un qualcosa da adulto, pur essendo un bambino, una sorta di maturità che me lo ha fatto preferire. A parte essere un bambino molto più allegro di quello rappresentato, la complessità e lo spessore che gli sono propri escono anche nel personaggio di Pietro.
In fondo è un film sull’invisibile, come dice il professore “l’invisibile è ciò in cui gli scettici non credono”. Molte delle cose che accadono, non si vedono, così come altri dettagli non vengono mostrati, (ad esempio la foto della madre). Tutto è basato sulla sottrazione e sull’allusione.
E’ esattamente così. Anche io ho usato la parola “sottrazione”. E’ un film che tradisce le sue premesse di genere: invece di richiamare un linguaggio spettacolare, invece di mostrare, risulta controintuitivo rispetto alle premesse della storia. Ma io volevo proprio parlare di quello che non si vede, che non sono necessariamente i poteri, o la forza della natura, o ciò che non è intellegibile all’uomo, ma tutto ciò che di invisibile c’è tra gli individui: tra un padre ed un figlio, tra un adulto ed un bambino che non si conoscono, o tra due ragazzini che scoprono un accenno di attrazione. Tutta la sfera dell’invisibile è ciò che alla fine da un senso a tutto il resto.