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Home Edizioni XXI Edizione (2022) - Festival Del Cinema di Porretta Terme Intervista a Niccolò Falsetti e Francesco Turbanti

Intervista a Niccolò Falsetti e Francesco Turbanti

Intervista a Niccolò Falsetti e Francesco Turbanti
XXI Edizione (2022) – Festival Del Cinema di Porretta Terme
Il regista  e il co-sceneggiatori di Margini, intervista a cura di Greta Gorzoni.

Con la proiezione del film “Margini” all’interno della selezione per il Concorso Fuori dal Giro 2022, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il regista Niccolò Falsetti e il co-sceneggiatore Francesco Turbanti.

 

Come vi siete avvicinati al punk e come nasce l’idea di questo film?

Niccolò: Abbiamo sempre avuto due grandi passioni, nate in età adolescenziale quella per il cinema e quella per questa sottocultura. Quindi ci è apparsa come fisiologica l’idea di dire: ma perché non facciamo un film sul punk? Poi dopo qualche giro a vuoto abbiamo capito che in realtà volevamo fare un film sul perché, su che tipo di risposte dava il punk alle domande ci facevamo da ragazzi e rispetto alle quali non sembravamo mai trovare pace. Abbiamo pensato che forse dovevamo fare un film sulla provincia, ma attraverso lo sguardo di tre ragazzi che suonano punk.

Francesco: Questa musica ti si attacca come se fosse una malattia, citando alcuni pezzi punk a cui siamo molto affezionati, quindi poi è difficile mandarla via.

La matrice autobiografica in questa narrazione quindi è molto forte?

Niccolò: Sì, decisamente. È stato difficile dare al percorso narrativo che volevamo intraprendere autonomia, staccarci dalla storia, dai personaggi, ma contemporaneamente legarsi all’infinita quantità di riferimenti, di aneddoti di situazioni divertenti, paradossali e dolorose. Abbiamo cercato di andare in questa direzione tramite un processo complesso, ma la spinta decisiva ce l’ha data Tommaso Renzoni, il nostro terzo sceneggiatore. Tommaso è stato fondamentale per far compiere ai personaggi le scelte più dolorose che fanno nel film, quelle più difficili e quelle che, almeno nelle nostre intenzioni, dovevano essere i battiti più forti del cuore del film.

Quali sono i riferimenti cinematografici o letterari che hanno ispirato il film? A partire da titoli importanti come “L’Odio” di Kassovitz o “Trainspotting” di Boyle che mi sembrano appartenere pienamente al vostro universo cinematografico, mi chiedevo se ci fossero riferimenti più underground anche nel panorama italiano?

Niccolò: Trainspotting è un film che ho studiato moltissimo dal punto di vista del linguaggio, chiaramente solo per alcuni aspetti, perché ha una patina pop che è distante da noi, ma l’ho studiato molto ed è un film fondamentale.

Francesco: Questi riferimenti ‘più alti’, noi li chiamiamo così, li abbiamo studiati molto e sappiamo anche che per certi versi sono inarrivabili. Questi titoli ci hanno colpito prima che concepissimo il film, nella nostra formazione cinematografica, quando ci interrogavamo su questo linguaggio da giovani spettatori e poi siamo tornati anni dopo a studiarli tecnicamente, da un punto di vista più professionale. Tra tutti i titoli sicuramente This is England è una reference molto importante, sia la il film che la serie. La serie probabilmente ci ha influenzati di più, perché ha molte sfumature interessanti, la costruzione dei personaggi è  più raffinata, in virtù del maggiore spazio a disposizione. È stato fondamentale soprattutto perché è un prodotto che parla in modo qualitativamente alto di sottoculture e sono rari i film che studiano quel mondo senza essere dozzinali o sbilanciati.

“L’odio” è un titolo che abbiamo molto a cuore. L’ho visto da piccolo a quattordici anni e mi ha folgorato, non ho parlato di altro per settimane. Quando l’ho rivisto anni dopo mi sono accorto che me lo ricordavo più sporco tecnicamente. Studiandolo dal punto di vista più tecnico ci si accorge che è estremamente pulito. Questo aspetto si ritrova anche in Margini: un contrasto tra un modo di girare estremamente pulito e fermo, mentre contemporaneamente si inquadra la viscerale recitazione di questi tre ragazzi. Questo aspetto, parlando anche da attore, è stato fondamentale: quell’energia così potente era il nostro obiettivo. Ci siamo concentrati su questo contrasto tra l’immobilismo della provincia e l’energia di questi ragazzi.

Sul versante letterario underground italiano sicuramente sono stati fondamentali Costretti a Sanguinare di Marco Philopat (inizialmente volevamo lavorare proprio su questo, poi abbiamo capito che in realtà ci interessavano più concentrarsi su altro) e i Ragazzi del Mucchio di Silvio Brunelli.

Il vostro film è un racconto estremamente sincero della provincia, non è usuale rintracciare questo nel panorama culturale italiano. Anche se vi sono riferimenti in campo cinematografico, da “I Vitelloni” di Fellini a Virzì, rispetto alla dimensione della periferia che gode di numerosi archetipi di narrazione , le provincia rimane in ombra. Il contesto della periferia spesso crea un forte senso di identità e un terreno fertile di sviluppo di sotto colture, la staticità della provincia difficilmente permette tutto questo. Il vostro film nasce dall’esigenza di colmare questo vuoto narrativo?

Niccolò: Assolutamente sì. Siamo partiti dalla convinzione che nella percezione comune vi fosse un immaginario metropolitano e un immaginario alto relativo all’upper class italiana, ma mancasse un immaginario sul ceto medio e sulla provincia; come se, paradossalmente, i narratori avessero intrapreso la strada delle grandi città ignorando, consapevolmente o inconsapevolmente il tessuto geografico e sociale di questo paese, un paese che è fatto di realtà di provincia e piccole città. La nostra speranza era intercettare un pubblico che avesse un sentimento verso questo tipo di immaginario e che lo cogliesse come qualcosa di fresco. Abbiamo cercato di rompere lo stereotipo della periferia come qualcosa di necessariamente legato a contesti sociali di enorme disagio o a contesti permeati solo da spaccio e traffico di stupefacenti: queste realtà senza dubbio esistono, ma sono state anche ampiamente e brillantemente raccontate A noi interessava chiederci: come stanno le ragazze e i ragazzi che crescono nei centri piccoli, in questi centri apparentemente pacifici, a-conflittuali? Dov’è il conflitto, quindi una storia là dentro? Cito gli Ultimi, una delle nostre band di riferimento soprattutto per questo tipo di immaginario “Le nostre storie, storie di chi storie non ne ha”.

Questa pellicola racchiude varie dimensioni culturali, da quella grafica con la locandina di Zerocalcare e i disegni di tanti altri artisti che hanno a loro modo raccontato il film, a quella musicale, che non rimane ancorata alla narrazione, ma diventa performativa nei molti concerti punk che avete organizzato per accompagnare il film. L’impressione è che il vostro, più che un film che parla di punk, sia un film punk, nel senso più viscerale del termine. Qual è lo spirito che vi ha animato nella realizzazione di questo film?

Francesco: Ci ritroviamo molto in questo aspetto. Il punk, oltre a qualche acufene, ci ha lasciato un’idea ben precisa di come affrontare la vita, che potrebbe essere racchiusa nello slogan Do it by yourself. Come tutti gli slogan è difficile da tradurre, ma soprattutto rendere con una dignità pratica e concreta. In questa prospettiva il nostro film è un film sul provarci, sul provare a fare le cose da soli. Anche se poi, con coscienza, abbiamo inserito il nostro film in un sistema e in un circuito commerciale da cui non ci nascondiamo, tante volte ci siamo interrogati sulla strada da intraprendere, ma ci siamo sempre risposti che volevamo dare al film un collocamento diverso, in modo tale che potesse essere visto da più persone possibile e potesse essere supportato qualitativamente e tecnicamente. Ci siamo però portati dietro la mentalità del mondo punk da cui il film ha origine, sul set abbiamo cercato di ragionare come quando facevamo i concerti in provincia con la nostra crew, un collettivo punk in cui abbiamo militato. Il set ha risposto  molto bene a questo tipo di proposta. Abbiamo cercato di non costruire una piramide di gerarchie, come spesso accade sui set, ma di valorizzare invece i ruoli dei vari reparti. La scena del concerto hurdcore punk non poteva essere fatta se non in questo modo, il concerto si è svolto veramente, avevamo bisogno non di attori sotto il palco, ma di persone che il palco e il pogo lo vivessero davvero.