Con la proiezione del film “Settembre” all’interno della selezione per il Concorso Fuori dal Giro 2022, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare la regista Giulia Louise Steigerwalt.
Il tuo primo lungo nasce dal tuo esordio assoluto alla regia, con il cortometraggio omonimo del 2020, che racconta la storia tra Maria e Sergio e che riporti integralmente in Settembre. La tua idea iniziale era di realizzare il lungo? Cosa ti ha spinto a scegliere di inserire il cortometraggio per intero nel tuo nuovo film?
Nasce prima in lungo. Era quello che avevo scritto anni fa, a cui tenevo molto, che sentivo particolarmente nelle mie corde. Era la storia con la quale volevo esordire alla regia. Anche altri lunghi che avevo scritto li sentivo miei, ma questo lo percepivo particolarmente nelle mie corde e sapevo che avrei voluto fare io la regia di questo lungo che avevo scritto addirittura dodici anni fa. Quando ho detto alla produzione che, dopo tante sceneggiature, volevo passare alla regia, sia Sydney Sibilia che Matteo Rovere – che sono prima di tutto filmmakers e poi produttori – mi hanno detto che, se volevo fare un lungo, mi dovessi prima confrontare con un cortometraggio. L’ho trovato giustissimo. Quindi, ho estrapolato un pezzo dal lungo che avevo scritto, quello dei ragazzi, e ho realizzato il cortometraggio. Però, mentre lo facevo, ero talmente entusiasta di questi ragazzi che avevo trovato che speravo di potermeli portare dietro anche per il lungo. Io l’ho girato avendo in testa il lungo e l’ho girato avendo già in testa tutto il resto. Resta che, nonostante ci sperassi, all’epoca era molto remota la possibilità di allungamento.
Poi, quando il corto ha avuto un bel percorso ed ha avuto una bellissima accoglienza, e la produzione si è a quel punto convinta di poter fare il lungo, quando siamo arrivati alla fase dei cast, ho ricontattato i due ragazzi, Luca Nozzoli e Margherita Reggiani, e ho visto che, magicamente, lei era identica a quando avevamo girato un anno e mezzo prima; lui era un po’ cambiato, ma con una serie di stratagemmi, siamo riusciti a mostrare il meno possibile quanto. Gli adulti, poi, sono arrivati come connessione alla loro storia. Questo è stato possibile perché le loro storie erano già presenti nella mia scrittura iniziale. Non ho costruito il lungo attorno al corto, ma il contrario. Ho estrapolato il corto dal lungo che avevo già scritto.
Proprio il fatto che i due protagonisti fossero cambiati così poco, ho scelto di lasciare le immagini che avevamo realizzato per il corto, integrando le altre scene e personaggi. Inserire integralmente il cortometraggio non è stato un fattore di pigrizia. Ma è dipeso dal fatto che quelle scene fossero uscite esattamente come le avevo immaginate, come le volevo. Anche perché, quando abbiamo iniziato le riprese del lungo, Luca e Margherita avevano perso un po’ quell’ingenuità che avevano rappresentato così bene nel cortometraggio. Il materiale che avevo girato lo avevo già girato in prospettiva di un lungo. Ed era già come lo volevo anche ora e si innescava perfettamente anche nel nuovo contesto.
La tua è una storia fortunata. Il tuo back ground artistico ti vede iniziare come attrice, proseguire con successo alla sceneggiatura e ora approdare alla regia del tuo primo lungometraggio. Cosa ti ha portato a fare questa scelta?
In realtà, l’unico elemento di fortuna che riesco a vedere è quando iniziato. Mi hanno preso davanti a scuola, per un film di esordienti, Come te nessuno mai di Gabriele Muccino. Dopodiché, ho proseguito come attrice. Ma sapevo che non era la mia strada e ho lasciato la recitazione per iniziare a scrivere. Ma l’idea di dirigere c’è stata fin dall’inizio. È stato un percorso, lungo. Ho cercato di studiare sceneggiatura, ho fatto il corso Script della Rai, continuando a cercare percorsi formativi sempre più completi e strutturati. Quindi, sono andata negli Stati Uniti, ho studiato alla UCLA di Los Angeles iscrivendomi al corso di sceneggiatura. Lavoravo di giorno e ho seguito il mio percorso come studente/lavoratore, seguendo i corsi la sera. È stato estremamente formativo. Poi, ho iniziato a proporre le mie sceneggiature e la prima che è stata valutata positivamente è stata Moglie e Marito, che ho mandato a Groenlandia che ero ancora negli Stati Uniti. Li conoscevo da anni, con Matteo (Rovere) ci conosciamo dai tempi del liceo. Comunque, l’idea della regia c’era già allora. Ogni volta che scrivevo, avevo un’idea molto chiara, vedevo già tutto. Sapevo che ci fosse bisogno, per arrivare alla regia, di uno step precedente come sceneggiatrice. Ma era già il mio obiettivo. A conferma di questo, posso raccontarvi che Settembre io lo svevo già scritto negli Stati Uniti, tanti anni fa e sapevo già che quello lo avrei voluto fare io come regista. Ho un approccio molto visivo, mi sono occupata io personalmente dello story board. Era tutto preparato in modo molto preciso, per poi potermi concentrare soprattutto sugli attori. Penso sia giusto fare un percorso come il mio, perché ti permette di avere tutti i tasselli a incastrare. Ad esempio, so che quello da attrice non fosse il mio percorso, ma averlo fatto mi ha permesso quasi di fare un corso in direzione degli attori; l’essere stata per tanti anni su un set mi ha aiutato a creare un clima familiare.
Questo tuo percorso è encomiabile. Soprattutto perché stiamo parlando di una regista esordiente donna. E sappiamo quanto questo porti a ulteriori difficoltà. Settembre è un film che guarda nel profondo della complessità femminile in tutte le sue generazioni. Dall’ingenuità di Maria di fronte alle sue prime scelte sentimentali, alla rinnovata voglia di emozioni di Francesca, passando per le speranze di felicità di Ana. Personaggi che vivono il loro essere donne partendo da una difficoltà che trasformano in valore aggiunto e rinascita. Come hai costruito le loro storie?
Credo che questo aspetto che sottolinei salti molto all’occhio perché, in generale, le donne vengono raccontate dagli uomini. Tendenzialmente, solo l’8% delle regie sono affidate alle donne e non sempre hanno spazio nei lunghi di finzione. Il punto di vista sulle donne resta spesso quello maschile. Si crea, allora, uno squilibrio nel racconto, perché ad essere veicolato resta solo il punto di vista maschile. In una cultura raccontata solo dal punto di vista maschile, penso che un immaginario diverso salti all’occhio. In realtà, io penso di aver raccontato quello che vivono tutte le donne in tante situazioni. Molti mi hanno detto che nel mio film si percepisca uno sguardo diverso. Questo succede per forza di cose. Perché sono donna e porto il mio immaginario. Pensiamo a Barbara Ronchi. Quello di Francesca in Settembre è il suo primo ruolo da protagonista. Tutti dicono che sia una bravissima attrice, ma se si guarda al suo curriculum, non è il suo sguardo ad essere stato raccontato prima, ma è sempre stata collocata in funzione di un personaggio maschile. Tantissime donne mi hanno raccontato di essersi ritrovate nei personaggi. Non è nuovo il racconto, ma è quello sguardo, il punto di vista da donna che porto a rendere il film qualcosa di diverso. È vederlo lì, sullo schermo, senza stereotipi, portando l’ironia, la tragicomicità che non viene raccontata e che rappresenta appieno le sfaccettature dell’essere donna.
Il personaggio di Guglielmo, invece, sembra ritrovarsi spaesato del mondo maschile che sembra non riuscire a comprendere pienamente quello femminile.
Credo che tanti uomini si stiano trovando in una realtà in cui devono per forza prendere atto di un mondo che sta gradualmente cambiando. Molto faticosamente. Ma l’aspetto che più mi interessava non era puntare il dito contro qualcuno, quanto piuttosto parlare di una situazione in cui siamo immersi tutti. Situazioni anche molto maschiliste, in cui ci troviamo quotidianamente. Ma in cui non esiste un “uomini contro donne”, quanto il fatto che viviamo in una cultura che sembra volerci imporre questa lotta. E mi piaceva l’idea di fare quell’ironia su questo fenomeno. Raccontando anche lo spaesamento degli uomini in questo contesto. Guglielmo prende atto del fatto che, forse, lui per primo deve prendere atto di questo cambiamento e rendersi conto di dover iniziare a prendersi cura di se stesso invece di aspettare che sia una donna a farlo per lui. Sergio è il ragazzino che ognuna di noi avrebbe voluto incontrare. E quello che tutte noi speriamo possa essere l’uomo del futuro.