“Nel 1972 mi trovavo a Parigi perché volevo visitare la mostra antologica di Francis Bacon al Grand Palais, la più grande e completa mai fatta, un evento memorabile. Avevo compiuto da poco 22 anni e a quel tempo volevo fare il pittore, o almeno così credevo. Bacon ebbe su di me un effetto sconvolgente: di colpo cancellò tutte le mie ambizioni. Conoscevo i suoi quadri ma non li avevo mai visti dal vivo, perlomeno non così tanti e tutti insieme. Compresi che mai avrei raggiunto quelle altezze e che non avrei potuto essere altro che un epigono, un patetico imitatore. Uscii dal Grand Palais con la morte nel cuore, la sensazione che tutto fosse perduto.
Pensai di buttarmi nella Senna, lo so che fa ridere ma in quel momento facevo davvero sul serio. Chi non ha mai pensato da ragazzo (e qualche volta forse anche da grande) di levarsi di torno? Cercai il mio ponte ma non trovavo mai quello buono. Troppa gente, troppa polizia, troppe barche di turisti che passavano.
Arrivai a quello di Bir-Hakeim, nel lussuoso quartiere di Passy e qualcosa di curioso attirò la mia attenzione. C’erano dei grossi proiettori, un sacco di gente che si muoveva come un formicaio ben organizzato, insomma: una troupe al lavoro. Sentii che molti parlavano italiano. Mi avvicinai e vidi… Marlon Brando avvolto in un cappotto color cammello. Stavano girando quella che sarebbe diventata la scena iniziale di Ultimo tango a Parigi: una immensa gru che scendeva vertiginosamente dall’alto fino a inquadrare in primo piano un affascinante uomo disperato. Rimasi a guardare incantato, restai lì finché non scese la sera, attento a non dare nell’occhio per non farmi allontanare. Dimenticato il proposito di annegare nella Senna, decisi che da grande avrei fatto quello che faceva il bel ragazzo col cappellaccio nero che muoveva tutto e tutti raggiante di felicità. La sera andai a vedere un suo film al St. André des Arts, aperto da poco: Strategia del ragno. Uscii dalla sala che la decisione era presa. Grazie Bernardo.“
(Marco Tullio Giordana)